Intervista a Luciana Percovich

Categoria: Le interviste dell'editore 

Cari Lettori e Lettrici,

benvenuti al secondo appuntamento del blog di Venexia dedicato a un argomento che interessa a molti di voi: la donna guerriera. Tante sono le voci che negli ultimi anni hanno ricordato alla donna le sue origini disperse nel tempo. Tra queste, come non ricordare Marjia Gimbutas, l’archeologa e autrice de Il linguaggio della Dea che ha riscattato il femminino sacro delle società del Neolitico, rileggendo e recuperando simboli, statuette e reperti di vario tipo in cui divinità dai tratti femminili splendevano in tutto il loro fulgore? Qui la donna veniva celebrata per la sua essenza complessa fatta di luci e ombre. Jeannine Davis Kimball in Donne guerriere: le sciamane delle vie della seta descrive la donna guerriera delle civiltà matriarcali dell’Età del Bronzo, spesso erroneamente relegata alla dimensione del mito ma riemersa dal grembo della terra con i suoi simboli misteriosi.

In un’epoca come la nostra, in cui il femminile va definendosi con non poche difficoltà, questa immagine rievoca un vivere in cui il femminino era simbolo di energia e potere fecondi. I resti rinvenuti parlano, infatti, di donne dotate di grandi poteri, garanti del Sacro e strenue protettrici di vita. Furono guerriere-sacerdotesse dell’Eurasia pre-patriarcale anche le regine e fanciulle della morte dell’antica Irlanda (Macha, Medb, Deirdre), la sensuale e terribile Lilith (simbolo dell’indipendenza e della sovversione femminili a un dominio misogino) e le famose Amazzoni della mitologia greca. Quello della guerriera è dunque un archetipo a cui la donna moderna può ispirarsi per ritrovare quell’energia inesauribile che aspetta solo una miccia per riaccendere il sacro fuoco. È la memoria genetica con cui potrà tessere il suo futuro.

Per illuminare questo affascinante aspetto del femminile, ho intervistato per avere il suo parere in merito una delle nostre autrici più apprezzate, Luciana Percovich, docente e ricercatrice della Libera Università delle Donne di Milano, nonché attiva nel movimento delle donne fin dagli anni Settanta.

Qual era il ruolo della donna guerriera nelle società dell’Età del Bronzo e come si integrava con quello dell’uomo?

Per rispondere a questa domanda devo partire da qualche premessa generale: l’Età del Bronzo – per quanto riguarda la vasta area che chiamiamo Eurasia e che qui prendiamo in esame – si sviluppa a partire dal 2000 a.C., in alcune aree leggermente prima e in altre leggermente dopo. È caratterizzata dall’essere il periodo di massimo scontro tra le civiltà patriarcali emergenti e le precedenti società matrilineari e matrifocali. Le prime ondate di popoli che sciamarono verso l’Europa attuale, organizzate al loro interno secondo una ferrea gerarchia di comando e che affidavano il successo delle loro conquiste all’uso sistematico delle armi, erano iniziate almeno 2000 anni prima: erano i Kurgan, di cui parlano Marjia Gimbutas, e Jeannine Davis Kimball, chiamati anche – per le lingue che parlavano – Indoeuropei, o Ari. La successiva Età del Ferro sancì la vittoria delle culture patriarcali.

Questa età è dunque una sorta di periodo di mezzo, in cui si scontrano ma anche mescolano interessi, stili di vita, miti e credenze religiose, istituzioni familiari e politiche, forme di abitazione e attribuzioni di ruolo legate al sesso che sono di segno opposto. Perciò in tutto il territorio europeo, da Gibilterra alle Isole Britanniche, dall’Italia all’Anatolia, dalla Scandinavia all’Egitto, le prevaricazioni, le violenze, le resistenze e le situazioni di temporaneo assestamento sono all’ordine del giorno e danno vita a compromessi più o meno stabili e diversi, ma comunque tesi a cancellare le grandi civiltà del Neolitico e ad affermare il dominio maschile in tutti i campi. E le battaglie furono condotte non solo con il ferro e con il fuoco, ma anche a colpi di miti, che vennero riscritti e risistemati per legittimare i nuovi padroni, i Signori della Guerra.

Venendo al lavoro e alle eccezionali scoperte della Kimball esse sono relative proprio al mondo dei Kurgan, e in più generale al vastissimo mondo delle popolazioni nomadi euroasiatiche nel periodo dell’Età del Bronzo, e rivelano da un lato che queste società erano al loro interno piuttosto egualitarie per quanto riguarda i ruoli sessuali, e confermano dall’altro l’esistenza di donne guerriere, o Amazzoni, di cui fino a questo momento si era solo favoleggiata l’esistenza, mancando le prove materiali – accanto a quelle letterarie e pittoriche – della loro realtà storica.

La Kimball, lavorando in collaborazione con archeologi russi, ha riportato alla luce numerose tombe (kurgan) – in alcuni casi intatte – in cui erano sepolte in posizione centrale donne inequivocabilmente abituate ad andare a cavallo, dotate di armi, di splendidi abiti spesso ricoperti di lamine d’oro e di tutti gli arredi propri delle sacerdotesse. Maschi e bambini, spesso insieme, occupavano i lati periferici di queste tombe. Risulta quindi che, accanto al ruolo tradizionale di “donne del focolare” (rivelato dal 75 % delle tombe), il rimanente 25% di tombe apparteneva a importanti guerriere-sacerdotesse e questo dato indica una struttura sociale e religiosa in cui le donne non erano affatto marginali o sottomesse.

Cosa accomuna la guerriera delle società matriarcali alla donna dei giorni nostri e cosa le differenzia?

Mentre le grandi civiltà del Neolitico non mostrano traccia di armi, né di città fortificate, né di sepolture indicanti differenze di rango, nell’Età del Bronzo queste cominciano a essere presenti, e riguardano anche le donne: come se, nel tentativo di resistere e di difendere la propria cultura e libertà sotto assalto reiterato da un paio di millenni, le donne si fossero a un certo punto piegate a imparare l’uso delle armi e ad accettare di entrare nel sistema gerarchico maschile. Qualcosa insomma di non troppo diverso dall’emancipazione moderna delle donne, che le spinge ad abbandonare il proprio orizzonte di senso, il proprio sguardo sul mondo e le proprie modalità espressive per abbracciare e combattere con le armi maschili della competizione, della politica, della separazione, categorie e valori necessari per l’affermazione di sé in un contesto patriarcale.

Ci differenzia invece il fatto che allora la memoria della “civiltà delle madri”, della sacralità e del mistero che si compiva nei loro corpi col ciclo del sangue e la capacità di mettere al mondo la nuova vita evocava ancora un misto di rispetto e timore, mentre oggi la completa mercificazione e svalutazione del corpo, della mente e dei sentimenti delle donne, spogliate del loro antico valore simbolico, ci rende ancora più fragili e incerte sulla nostra identità profonda.

Come è applicabile al nostro secolo la dualità insita nella donna guerriera, con il suo ritmo ciclico e l’energia dirompente che rievoca le potenti e fertili forze di Madre Natura?

Il potere di dare la morte era parte integrante dell’antica rappresentazione simbolica del femminile, perché la morte fa parte della vita. Luna bianca e luna nera, la Dea delle nostre radici remote è oscura e splendente, dà la vita e se la riprende, ama e rifiuta chi le sta accanto, nutre e lascia morire. Dare la morte con la guerra è una invenzione maschile, e la donna guerriera può assumerla su di sé (abdicando o aggiungendola alle proprie modalità).

Nel suo saggio Da Circe a Morgana, Momolina Marconi descrive Morrigan, dea-maga irlandese, accompagnata da un seguito di ventisei guerriere. Spesso nei libri dedicati al risveglio del femminino sacro troviamo un accostamento tra maghe/sciamane e guerriere. Che cosa lega queste due figure?

Se è indubbio che storicamente le donne siano entrate nell’immaginario maschile anche appropriandosene e agendolo in prima persona, facendosi guerriere e anzi, maestre di guerrieri come proprio nelle mitologie celtiche e nordiche appare più di frequente, simbolicamente la maga/sciamana/guerriera ha un significato diverso e più profondo, legato al processo della trasformazione e rigenerazione fisica e spirituale.

Occorre imparare a essere centrate su di sé, difendere i propri confini, tagliare via da sé ciò che fa impedimento alla ricerca della libertà della propria identità più profonda. Occorre saper combattere contro i demoni nutriti dalle paure, dalle insicurezze e dai falsi modelli continuamente riproposti per realizzare il proprio sé che si costruisce solo in una relazione equilibrata e armonica con il mondo, la natura e tutti gli esseri che ne fanno parte. Ma se questa libertà viene negata, occorre anche sapersi difendere dall’aggressione esterna, che spesso si confonde con la propria ombra.

Oggi va emergendo una forma di spiritualità diffusa, avulsa da dogmi e rigori e centrata sul femminino sacro a cui partecipano molti uomini. Come ti spieghi questa evoluzione?

La maggiore caratteristica del presente è che non ci sono più coperture che tengano, la verità bella o oscena che sia viene a galla da tutte le parti, il vero volto del patriarcato (e chi li ha mai visti dei veri padri nella storia degli ultimi 5000 anni?) come sistema orientato al dominio su tutto e tutti non riesce più a camuffarsi. Anche alcuni uomini cominciano a capire e sentire dentro di sé che sono stati illusi (dalla speranza di condividere il potere) e mutilati in molte delle loro potenzialità e capacità, perché non rispondenti allo stereotipo del maschio eroico, che è in gran parte il risultato di una costruzione culturale. Le religioni, le tre religioni monoteiste in particolare, avulse dalla vita quotidiana cui hanno sottratto la sacralità, non soddisfano i bisogni più profondi nemmeno della spiritualità maschile. La sessualità, distorta rimossa e colpevolizzata negli ultimi 5000 anni di patriarcato, e definitivamente uccisa dal cristianesimo, si è inaridita e trasformata in puro esercizio sadico di dominio, anche su di sé e sulle proprie pulsioni, oltre che sul corpo-oggetto di donne e bambini.

Ti ritieni una donna guerriera? E se sì, quali sono state le tue vittorie e quali le tue sconfitte?

Sì, perché in questa mia esistenza sono nata sorella di Atena, la dea priva di madre uscita già armata dalla testa di Zeus (fuor di metafora, vuol dire che sono cresciuta sulla via dell’emancipazione, soprattutto culturale e intellettuale, che ho appreso il linguaggio degli uomini invece che la “lingua materna”). Ma ho imparato il valore del sapersi difendere, difendere il proprio corpo e la propria mente, per avere lo spazio di cercare la mia femminilità, in un processo che è ancora in pieno divenire, perché so di averne intuito più che agito i reali contorni e potenzialità.

Vedi un percorso spirituale femminile come un’evoluzione della donna guerriera?

Nell’accezione della dea Durga o di Kali o di Bridgit… sì!

Durga lotta invincibile per sconfiggere le migliaia di demoni che vogliono arrestare il cammino della creazione, Kali dà la forza di vedere i propri limiti e col suo pugnale aiuta a tagliar via le paure che ci impediscono di trovare la nostra essenza e Bridgit, scudo e lancia al suo fianco, tiene acceso il fuoco dell’ispirazione che ci permette di dire le parole non di un sapere qualsiasi ma della “conoscenza che guarisce”.